SCHOLAE CANTORUM E CAPPELLE MUSICALI
Per Aspiranti Cantori e Maestri di Coro e di Cappella - Per richiamare al presente esperienze del passato, in funzione di un futuro che per tutti, ma particolarmente per i giovani, deve pur affermarsi luminoso.
Con l'istituzione delle "Scholae Cantorum" curate fin dai primi secoli da vari Pontefici della Chiesa Romana prima e dopo San Gregorio, lungo tutto il Medioevo, oltre a riprendere l'antica tradizione del grande valore attribuito da tutti i popoli antichissimi alla "coralità", ora, per la prima volta nella storia, si riafferma il connubio diretto fra la "Parola dell'uomo" (in questo caso il "latino" trasfigurato musicalmente nel suo stesso interno per il giuoco espressivo degli accenti) e la "Parola di Dio". Non possiamo ignorare lo stretto rapporto manifestato, fin dall'origine nello stesso vangelo, fra il segreto più intimo della rivelazione di Cristo e la parola che si esprime musicalmente col canto, laddove è detto che, subito dopo l'istituzione del mistero eucaristico nel "Cenacolo" il Signore con i discepoli "Cantarono l'inno". Tutta la letteratura liturgica e "corale" del mondo cristiano si accentra da sempre a questa fonte, traendone alimento per irradiarsi oltre ogni confine.
D'altronde non possiamo ignorare gli antichissimi miti cosmogonici, patrimonio leggendario di tutti i popoli, in cui è implicito il "mistero del suono". Sembrerebbe che il "mistero musica" fosse geneticamente predestinato all'origine di ogni tempo, per incontrarsi nella storia, nella pienezza dei tempi, col mistero della "Parola". Della "Parola" che è pur anche suono, e che opera in funzione del "VERBO" per il quale tutto è. Le riflessioni sull'argomento, già ampiamente svolte dal Mº Nazario Bellandi nella "Sinfonia" (alla quale si rimanda per maggior conoscenza) hanno risposte concrete nelle iniziative per le attività musicali (didattiche, concertistiche, editoriali) della Fondazione Eximia Forma che istituisce, nell’ambito dell’Academia Musicae, tra le molteplici attività, presso la propria sede e in altri luoghi, Scholae Cantorum e Cappelle Musicali.
La Fondazione Eximia Forma ritiene il Monastero di San Gregorio al Celio la sede ideale per l’istituzione di Scholae Cantorum e Cappelle Musicali. Il “ Monastero “, ambiente di grande prestigio che dal suo glorioso passato d'arte e di cultura trae ispirazione, è la sede di quell’imponente riforma della musica che per secoli ha edificato le varie età dell'arte in virtù di quel canto che dal grande Pontefice ha preso il nome.
Amici dei Monaci Camaldolesi (cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, o semplicemente laici) hanno fatto di San Gregorio al Celio il luogo discreto e sereno di comunicazione dialogica estremamente seria. E' in questo medesimo spirito che Scholae cantorum e Cappelle musicali ricevono calorosa ospitalità da parte degli attuali eredi di Papa Gregorio i quali sono convinti che ogni manifestazione artistica non può mancare in ogni caso, quale che sia l'apporto dell'opera delle mani dell'uomo, la presenza di una particolare ispirazione dello Spirito Santo invocato nel canto gregoriano che quotidianamente risuona nel coro dei monaci, appunto come "Spiritus Creator" che "fa continuamente nuove tutte le cose".
Scholae Cantorum
Sotto il pontificato di San Gregorio Magno (590-604) il canto liturgico assume forma tipica e definitiva in seno alla chiesa cattolica, e d'allora in poi esso fu noto con il nome di canto romano (successivamente canto gregoriano). Per tutto l'Alto Medioevo la musica si identificò con il canto sacro ecclesiale, il quale a sua volta era una funzione dei riti liturgici. Questi ebbero una genesi e una definizione assai laboriosa. Tra il IV e il VII secolo la frantumazione dell'unità politica, la discesa dalle terre settentrionali dei popoli conquistatori germanici e il loro rapido trasferimento nei territori che erano appartenuti all'Impero romano d'occidente, e la conseguente parcellizzazione dei centri amministrativi rinvigorirono i particolarismi regionali, favorendo la moltiplicazione delle formule dei riti e le differenziazioni della liturgia. Il lavoro di cucitura, di unificazione delle cerimonie del culto fu un'opera paziente e secolare awiata dalla Chiesa di Roma intorno al VI secolo ed emblematicamente attribuita all'azione di papa Gregorio, ma che si realizzò solo nell'età carolingia. La formazione del repertorio di canti della Chiesa latina subì lo stesso travagliato cammino, con una grossa difficoltà in più: il mezzo di comunicazione costituito dalla scrittura in lingua latina non era mai caduto in disuso, di conseguenza i testi delle preghiere e dei canti venivano senza difficoltà trascritti nei libri liturgici, e le sempre possibili modificazioni e cambiamenti non creavano gravi problemi.
A papa Gregorio Magno vengono attribuiti i meriti di aver riordinato i canti dell'Antifonario e di aver riorganizzato e potenziato a Roma la Schola cantorum (sulle origini della Schola cantorum romana possediamo solo scarse e lacunose testimonianze, sappiamo tuttavia che essa esisteva già nel V secolo e che ebbe l'appoggio di vari papi). Oltre che per il servizio liturgico nelle basiliche pontificie (Laterano e San Pietro) la Schola aveva il compito di formare i cantori da inviare nei monasteri di altri Paesi. Qui essi costituirono nuove scholae e potenziarono quelle esistenti, a loro volta centri di irradiazione del rito romano e del repertorio di canti che nell'VIII secolo ormai era chiamato gregoriano. In tale modo l'Europa cristiana del IX secolo poteva contare su un alto numero di monasteri, che erano centri di vita religiosa e contemporaneamente di formazione liturgica e di propagazione del canto romano. Tutti i popoli e ogni epoca sviluppano la notazione musicale quanto e come esige la loro prassi musicale; il canto gregoriano dell'epoca dei neumi non richiedeva un'intonazione precisa ma ammetteva, per la sua stessa essenza, una qualche parte di irrazionale casualità. Agli albori del secondo millennio dell'era volgare il problema che appariva più urgente per l'insegnamento del canto liturgico era dunque individuare la maniera di scrivere, e di conseguenza trasmettere, e perciò leggere, i canti con una notazione non allusiva o sommaria quali erano le scritture neumatiche, ma certa e definita.
Il merito di aver risolto questo problema di portata storica viene riconosciuto - com'è noto - al monaco Guido d'Arezzo (995 ca. - 1050), il quale intorno all'anno 1025 aveva già insegnato ai cantori come fare per intonare degli ignoti cantus, cioè canti non prius auditi, dei quali perciò difettava loro l'esperienza storica dell'ascolto e di un precedente apprendimento mnemonico. L'invenzione (tale si può definire) di Guido d'Arezzo tocca due aspetti, distinti ma complementari, della didattica del canto: la scrittura delle note (egli ne trattò nel Prologus in Antiphonarium, riassumendo esperimenti e tentativi già avviati da altri) e l'intonazione delle note della scala diatonica, resa complessa dalla presenza ed alternanza di intervalli di tono e di semitono; esso è ampiamente spiegato nell'Epistola ad Michalem de Ignoto cantu. La notazione guidoniana permise di indicare con precisione l'altezza delle note e di conseguenza lo sviluppo " altimetrico " delle melodie. Questo risultato fu conseguito mediante: l'adozione del rigo musicale di più linee, solitamente 4; l'adozione delle chiavi (Do e Fa), con la funzione di precisare l'altezza assoluta delle note; l'adozione di neumi quadrati (notazione quadrata) che poneva fine all'esistenza di numerosi " dialetti " neumatici e unificava i segni della notazione.
Quanto al problema dell'intonazione, che si presenta nel momento in cui si passa dalla notazione scritta alla pratica esecutiva, Guido lo affrontò proponendo lo schema dell'esacordo (desunto dalle sillabe/note iniziali dei sei emistichi della prima strofa dell'Inno di San Giovanni), elemento centrale del sistema della Solmisazione da lui elaborato e della pratica della mutazione che ne consegue. Chiave di volta di tutto il metodo di insegnamento del canto proposto da Guido d'Arezzo (che nella terminologia moderna chiameremmo formazione dell'orecchio) è il semitono, il quale era sempre costituito dalle sillabe Mi-Fa, intervallo centrale dell'esacordo. La vitalità del metodo di Guido si rileva non solo nei trattati medievali posteriori e in quelli rinascimentali, nei quali, insieme con l'esposizione della solmisazione allargata alla musica ficta, si trova riprodotto assai frequentemente quel sussidio didattico-visivo che era la " mano guidoniana ", a lui posteriore ed a lui falsamente attribuito. Nonostante le critiche, a cominciare da Ramos de Pareja fino a Mattheson, di cui tale metodo fu fatto oggetto, esso era in parte ritenuto ancora valido nel secolo XVIII e molti trattatisti (J.J. Fux, C.G. Testori ecc.) si servivano anche di formule guidoniane.
Diverse fra le proposte di rinnovamento dell'educazione musicale nella scuola generale che hanno caratterizzato la ideazione di metodi per la scuola nel nostro secolo hanno preso le mosse da Guido d'Arezzo e hanno fatto tesoro del suo insegnamento per quanto riguarda la formazione dell'orecchio e la esatta intonazione degli intervalli. I sistemi Tonic Sol-fa, Tonika Do-Lehre, e quello cosiddetto del do mobile, che costituiscono punti centrali di vai metodi (Ward, Kodály ecc.), si richiamano in modo esplicito alla didattica attiva del monaco benedettino del secolo XI. Su ciò è doverosa una conclusiva osservazione: i procedimenti dell'istruzione musicale dei cantori che operavano professionalmente nell'ambito delle scholae ecclesiali e dei monasteri, vengono oggi adottati per l'educazione musicale di tutti i giovani.
Quando Guido d'Arezzo proponeva al papa Giovanni XIX il suo nuovo metodo per la lettura della musica e l'intonazione dei canti, era in corso quel processo di trasformazione di tutta la cultura occidentale ch'era stato avviato nel IX secolo dalla cosiddetta Rinascenza carolingia. Nell'ambito dello sviluppo di una cultura che rimaneva tuttora saldamente ancorata al mondo della religiosità cristiana e della Chiesa, i canti sacri però non erano più solo proiezioni della liturgia. Lo spirito nuovo stava liberando nuove forze di invenzione e di creatività, e ad esse si devono le nuove forme (sequenze, tropi, drammi liturgici) e le nuove strutture (organa e discanti) che conobbero, soprattutto le prime, un'abbondante fioritura, e che mantennero un cordone ombelicale di collegamento con le melodie gregoriane.
Su questa nuova situazione del canto sacro agli albori del secondo millennio dell'era volgare si possono fare due osservazioni. La prima, che il moltiplicarsi degli interventi creativi configurava una nuova consapevolezza, da parte dei cantori delle scholae che operavano nei conventi e in genere nei maggiori centri di formazione religiosa, e una più matura e autonoma professionalità dei musicisti pratici. La seconda è che in questa crescita emergono aspetti didattici specifici e ammaestrativi in senso generale. Si pensi alla formazione storica dei tropi e delle sequenze, germogliati come espedienti mnemonici di tipo scolastico; si pensi soprattutto agli uffici drammatici e ai drammi liturgici, alla loro funzione paraliturgica di coinvolgimento dei fedeli (il fenomeno si ripeterà: con la lauda centro-italica, con il corale luterano, con l'oratorio romano). Essi vennero assumendo una funzione di esemplarità devozionale, analoga a quella che, da Giotto in poi, ispireranno i racconti pittorici delle " Storie di Cristo ".
A partire dal XII secolo la connotazione professionale del musicista si venne sempre meglio precisando. In precedenza egli si era identificato con il Cantor, il cui curriculum scolastico ci è sufficientemente noto: " un lungo tirocinio presso le scuole monastiche o cattedrali per memorizzare il repertorio liturgico prima che si approdasse alla notazione neumatica, in seguito un assiduo esercizio di lettura della grafia musicale per giungere tecnicamente preparati " Il training dei cantores si fece severo quando lo svolgimento e la diffusione della musica mensurabilis pose gli esecutori di fronte a compiti sempre più impegnativi. Si può avere una valutazione delle nuove difficoltà pensando ai problemi di ritmo e di tempo posti dall'esecuzione di un mottetto trecentesco, o alla bravura, di segno strettamente vocale, richiesta per cantare un semplice madrigale dell'Ars nova; inoltre l'esecuzione di musiche polifoniche, tanto sacre che profane, esigeva la partecipazione di strumenti, e non solo per la realizzazione delle parti di sostegno (tenor o contratenor). La professionalità dei cantori trovò più frequenti motivi per affermarsi dal XIV secolo, ma specialmente durante il XV, quando disporre di una cappella. musicale valida diventò un segno di distinzione, uno status symbol, oggetto di ambizione di una cattedrale e di una corte. Vescovi e regnanti facevano a gara per assumere al loro servizio cantori esperti delle nuove tecniche compositive. Le Fiandre diventarono il vivaio dell'Europa musicale, ma dietro l'esempio dei fiamminghi la formazione dei cantori (che di solito erano di condizione religiosa e vivevano di benefici ecclesiastici) si sviluppò nei vari Paesi.
Fu dalle schiere dei cantori che uscirono i compositori, da Leoninus e Perotinus fino a Josquin e Palestrina. Questa categoria professionale non si era in precedenza configurata in modo autonomo perché gli aspetti dell'attività creativa sfumavano nell'anonimato collettivo. Emergeva il canto, espressione della comunità orante, nella quale rientravano e si identificavano gli sconosciuti autori o coautori di melodie trascritte nei libri liturgici. I compositori ebbero la consapevolezza di costituire, dal XIII secolo e non diversamente dai letterati o dai pittori, una corporazione di artisti. Firmando le loro composizioni., essi sottolineano il valore della propria individualità, prodotto di scienza e fantasia, il senso della loro posizione nei confronti dei musicisti della precedente generazione e dei loro contemporanei. Insieme con i compositori, personaggi nuovi della musica medievale furono i trattatisti, il cui numero crebbe continuamente, da Guido in poi; alcuni di essi (Francone di Colonia, Johannes Cotton, Walter Odington, Johannes de Grocheo, Johannes de Garlandia, ecc.) occuparono posizioni chiave nella storia della didattica e della precettistica musicale. Tra i compositori e i trattatisti si instaurò una specie di " partita doppia " musicale, con scambi che andavano nelle due direzioni. I trattatisti registravano le innovazioni, soprattutto della notazione e delle forme, attuate dai compositori che operavano all'avanguardia. La divulgazione delle nuove tecniche fu di grande utilità per gli altri compositori, oltre che per i cantori che dovevano tradurle al vivo.
Questa trattatistica di tipo precettistico non esaurisce però il quadro della produzione teorica sulla musica durante il Medioevo. Esisteva infatti un altro robusto filone, di tipo speculativo, i cui primi esponenti erano stati Boezio, Cassiodoro e Isidoro di Siviglia, portatori di una concezione elitaria della musica, che si richiamava al pensiero classico. Boezio non riconosceva la qualifica di musicus agli esecutori e ai compositori ma solo a quegli uomini di pensiero e di dottrina che intrattenevano con la musica un rapporto rigorosamente intellettuale: solo questi erano ritenuti capaci di esprimere giudizi su quella che essi chiamavano musica, e sulla base di principi razionali. Gli argomenti intorno ai quali si svolgevano le dissertazioni erano di ordine speculativo e matematico. Si operavano classificazioni astratte della musica venivano richiamate le proporzioni del sistema pitagorico, gli intervalli, i concetti di consonanza e di dissonanza.
Tale orientamento della teoretica della musica conobbe un ulteriore impulso a partire dal XII secolo, quando nelle città dell'Europa più attive culturalmente gli studia generalia (poi universitates magistrorum et scholarium) si affrancarono dalle scuole monastiche e delle cattedrali, e si affermarono quali centri della speculazione teologica e filosofica e come scuole del diritto, della medicina nonché delle " sette arti liberali ". Quest'ultima terminologia, come la bipartizione nel Trivium e nel Quadrivium, era stata operata dal neoplatonico cartaginese Marziano Capella (prima metà del V secolo) nell'operetta allegorica De Nuptits Philologiae et Mercuri; fu poi ripresa e riproposta, tra altri, da Remigio di Auxerre (X secolo) nel trattato De Musica. In tale classificazione le arti del Quadrivium erano l'aritmetica, la geometria, I'astronomia e la musica; ciò dà ragione dell'inclusione della musica tra gli insegnamenti degli studia medievali. Il più antico tra questi fu quello di Bologna, che si fa risalire al 1088 e all'insegnamento di Irnerio, da esso trasse origine quello di Padova allorché (1222) si verificò una massiccia migrazione di studenti dalla prima città alla seconda. Ma lo studium che esercitò maggiore influenza nell'insegnamento medievale fu quello di Parigi, che incominciò ad affermarsi intorno al 1170.
Il primato della Sorbona fu sancito dal fatto che gli statuti e gli ordinamenti di molte delle maggiori università medievali si ispirarono a quelli dello studium parigino. E' il caso di Oxford, di Cambridge, di Praga; quest'ultima a sua volta influenzò Vienna, Heidelberg, Colonia, Lipsia. Le altre università che ebbero un ruolo importante nella cultura europea furono quelle di Orléans, Salamanca, Cracovia, St. Andrews (Scozia). Il posto e l'importanza riconosciuti alla musica nell'ambito dell'insegnamento delle arti liberali non fu lo stesso in tutte le università. Essa fu considerata un insegnamento ordinario nell'Università di Praga sin dalla fondazione (1348) e in alcune di quelle che su di essa modellarono i propri ordinamenti: Vienna (fondata nel 1365) e Heidelberg (1385). Negli altri studia invece l'insegnamento " speculativo " della musica, pur obbligatorio, era coordinato e sviluppato parallelamente ad altri, nell'ottica dell'unità del sapere. Ciò dà spiegazione del fatto che molti studiosi, pur autorevoli trattatisti della musica, non fossero " specialisti " della disciplina.
Johannes de Muris, la cui Musica speculativa, silloge del pensiero boeziano, fu il testo musicale più studiato e consultato dagli studenti di molte università medievali, era anche matematico e astronomo; il suo trattato si affiancava a quelli che egli redasse per le altre discipline del Quadrivium, da lui insegnato alla Sorbona dal 1321. Analogamente si può scrivere di molti altri studiosi: da Ruggero Bacone, docente ad Oxford, una delle menti più alte della filosofia medievale, che trattò di musica nell'Opus maius e nell'Opus tertium; al padovano Prosdocimo de Beldemandis, astrologae et musicae professor nonché matematico e filosofo; e via dicendo. Ciò non può meravigliare quando si ricordi la struttura fortemente accentrata del pensiero e della scienza medievali; l'insegnamento della musica speculativa, al pari di quello delle altre discipline, non poteva non assecondare i procedimenti logici della Scolastica, sulla base dei quali si mirava a ordinare le varie nozioni, a coordinarle con l'impiego degli strumenti razionali del pensiero, riferendole a termini astratti. Ma accanto alla musica speculativa esisteva una musica pratica costituita dalle iniziative musicali di varia natura assunte e favorite dalle università, e poiché l'autorità ecclesiastica manteneva tuttora il controllo sulla produzione culturale degli studia, le cerimonie religiose, di cui le esecuzioni musicali erano momenti non marginali, costituivano una parte non trascurabile della vita universitaria.
Da qui gli stretti mutui rapporti esistenti tra le università e le scuole musicali: tra la Sorbona e la Scuola di Notre-Dame a Parigi; tra le Università di Vienna, Heidelberg e Lipsia e, rispettivamente, la cappella di Santo Stefano, la Neckarschule e la Thomasschule. A Oxford e a Cambridge, invece erano i singoli college a coordinare le manifestazioni musicali favorendo anche la formazione di coristi. La demarcazione tra " teorici " e " accademici " (trattatisti e filosofi) era però destinata ad esaurirsi con la fine della Scolastica, la trattatistica della musica in seguito dedicò spazi sempre maggiori ai problemi della pratica. Ai confini tra Medioevo e Rinascimento uno dei personaggi che riassunse in sé in perfetto equilibrio le due anime della musica fu Franchino Gaffurio di Lodi, " cattedratico " di musica all'Università di Pavia e autore di importanti trattati, e contemporaneamente maestro di cappella del Duomo di Milano e compositore di musica sacra.
Cappelle Musicali
Le istituzioni che nel tardo Medioevo e durante il Rinascimento curarono la formazione professionale dei musicisti furono le cappelle musicali delle basiliche e delle cattedrali delle più importanti città della cristianità, ma anche quelle istituite per il servizio privato di regnanti e di prìncipi. Le cappelle musicali furono la versione aggiornata delle scholae cantorum: " quando nell'officiatura corale prese piede l'uso del canto figurato, le scholae andarono modificandosi e a poco a poco diedero origine alle cappelle musicali, delle quali in seguito entrarono a far parte anche persone laiche ".
Un aspetto di questi nuovi organismi, che a noi oggi appare anomalo rispetto alle strutture attraverso le quali si organizzerà nei secoli successivi la produzione e la distribuzione della musica (teatro, concerto, ecc.), è la copresenza, in ciascuno di essi, del momento formativo e di quello esecutivo. Le strutture amministrative che supportavano i complessi che partecipavano con il canto (e con il suono) alle cerimonie del culto e a quelle civili e di mondano intrattenimentto si facevano carico di prowedere anche, all'interno della cappella o collateralmente, all'insegnamento sia dei putti cantori sia dei cantori stessi.
Questa organizzazione era simile a quella sulla quale si erano rette per secoli le scholae cantorum; ma la trasformazione del repertorio liturgico che dal secolo XIV si accompagnò con l'accresciuta presenza e l'aumentata importanza nel repertorio liturgico di composizioni a più voci richiese anche un maggiore e più differenziato impegno didattico. Presso molte cappelle, a partire da quest'epoca, I'insegnamento venne ripartito fra più persone: un magister cantus, o magister puerorum impartiva l'insegnamento del canto ai chierici, mentre il cantor era preposto al servizio della cappella. A quest'ultimo si richiedeva non solo che sapesse cantare, ma anche comporre nelle forme della musica mensurata, e improwisare contrappunti sulle melodie corali " aperto libro "; inoltre era di sua pertinenza la preparazione musicale delle esecuzioni. I registri delle singole amministrazioni capitolari, nelle quali venivano notate tutte le spese sostenute sono fonti preziose per conoscere, con la storia delle singole cappelle, le mansioni, i compiti e le prestazioni dei singoli dipendenti.
Con l'accresciuta importanza delle cappelle musicali - le quali, secondo la disponibilità finanziaria, contavano un numero variabile (ma nella maggior parte dei casi non superiore alla decina) di cantori professionisti, cui si dovevano aggiungere putti e chierici - al cantor si sostituì il maestro di cappella, qualifica che rimase in uso anche dopo che si era concluso il periodo di massimo fulgore della musica vocale ecclesiastica e profana. Quali fossero le mansioni del maestro di cappella è indicato in molti documenti del tempo: egli doveva cantare insieme con gli altri cantori; istruire nel canto figurato i putti cantori; trascrivere composizioni polifoniche di maestri eccellenti da eseguirsi durante le sacre funzioni; accrescere annualmente il repertorio di un numero precisato di messe, magnificat e mottetti.
L'istruzione professionale dei musicisti era dunque legata strettamente alla pratica e all'appartenenza, in atto o futura, ad una cappella musicale. Questa norma non conosceva deroghe, anche se si ha notizia di alcune eccezioni. Fin dall'inizío del secolo XV la Fabbrica del Duomo di Milano aveva istituito, parallelamente alla struttura della cappella metropolitana, un insegnamento pubblico e gratuito della musica. Il maestro di cappella, oltre all'obbligo di istruire i cantori per il servizio in duomo, aveva il compito di " insegnare la musica a tutti quelli che la vogliono imparare ". Dall'età dell'Ars nova in poi le società delle corti e i ceti della borghesia mercantile europea vennero alimentando un'attenzione crescente per la cultura artistica e, in essa, I'interesse per la musica sacra ma soprattutto profana contemporanee. Ciò ebbe riflessi determinanti nello sviluppo della creazione musicale, nell'incremento dell'attività dei cantori e degli strumentisti e nella costituzione di cappelle musicali di corte, tra le quali, nella seconda metà del secolo XV, ebbero spicco e lustro particolari quella dei duchi di Borgogna e quella degli Sforza a Milano. Questo fenomeno ebbe anche la conseguenza di determinare una inversione di tendenza nel tipo di rapporto tra la musica e l'educazione. Studiare, conoscere, praticare la musica per fine di diletto e alta ricreazione e non con intenti professionali tornò ad essere considerato un aspetto non secondario del processo formativo dell'uomo. Così l'educazione musicale, sia pur limitata ai discendenti dei ceti emergenti, si sviluppò e convisse con l'tstruzione musicale che nelle cappelle musicali alimentava la formazione dei professionisti, compositori ed esecutori.
Della presenza della musica nei training educativi dei giovani prìncipi ci sono pervenute numerose significative testimonianze: Francesco Sforza, duca di Milano, si preoccupò che il figlio Galeazzo Maria ricevesse una seria e aggiornata educazione musicale. Altro illustre esempio è costituito dalle due figlie del duca di Ferrara Ercole d'Este (Isabella e Beatrice). La prima, sposa di Francesco II Gonzaga, fece della corte di Mantova uno dei centri più splendidi della civiltà rinascimentale; e il fiorire parallelo della poesia per musica e delle creazioni frottolistiche alle cui esecuzioni essa stessa partecipava ebbe in lei una preziosa animatrice. Anche la sorella Beatrice, consorte di Ludovico il Moro, aveva buona confidenza con il repertorio frottolistico e la pratica estemporanea dello stesso.
L'avallo del principio che la musica occupasse un posto di rilievo nell'educazione dei gentiluomini e delle gentildonne si trova in un passo famoso del Cortegiano di Baldassare Castiglione. Scritto tra il 1508 e il 1516 (negli anni del boom delle edizioni a stampa delle frottole petrucciane), svolto a dialogo secondo una corrente fictio letteraria e ambientato alla corte di Urbino, questo trattato è il codice dei comportamenti, anche educativi, della società del tempo. Sulla necessità dell'educazione musicale Castiglione scrisse un passo divenuto famoso: " Signori, disse il Conte, avete a sapere ch'io non mi contento del Cortegiano, s'egli non è ancor musico, e se, oltre allo intendere ad esser sicuro a libro (cioè conoscere bene la notazione e saper cantare leggendo la musica), non sa di vari strumenti, perché niuno riposo di fatiche e medicina d'animi infermi ritrovar si può più onesta e laudevole nell'ozio di questa; e massimamente nelle corti [...]. Però non vogliate voi privar il nostro Cortegiano della musica, la qual non solo gli animi umani indolcisce, ma spesso le fiere fa diventar mansuete [...] ". Lo sviluppo della pratica musicale a livello non professionistico crebbe nel corso del secolo XVI, e ciò ebbe tra le conseguenze che spesso si prescindesse nello studio dall'esigenza di " intendere ed essere sicuri a libro ".
La fortuna del " dilettantismo " d'alto livello che contrassegnò la musica profana rinascimentale si rispecchia nel numero notevole di edizioni a stampa per liuto pubblicate in Europa. A sua volta la fortuna editoriale spiega anche il tipo particolare di notazione che veniva impiegato, l'intavolatura per liuto. L'esecuzione dei brani segnati con tale notazione non richiedeva che gli esecutori conoscessero la notazione mensurale, perché esse si limitavano a proporre le posizioni e i tasti da premere con la mano sinistra sulla tastiera dello strumento mentre la destra pizzicava le corde. Il liuto fu certamente il più importante degli strumenti tramite i quali l'educazione musicale conseguì nella società del Cinquecento dimensioni così vaste. L'importanza da esso assunta è comprovata dall'altissimo numero di edizioni a stampa di musiche, originali o trascritte, per detto strumento, diffuse con differenti sistemi d'intavolatura in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Spagna, ed è confermata da numerosi dipinti e incisioni. La raffigurazione di liuti d'ogni foggia e dimensione, imbracciati per esecuzioni a solo o con altri strumenti, affiancati a volte da cantori, costituiva un topos assai diffuso dell'iconografia rinascimentale.
Quanto s'è detto per le cappelle musicali non si estende alle regioni nelle quali, a partire dal XVI secolo, si diffusero le confessioni riformate, in particolare quella luterana. Il segnale di un nuovo corso fu costituito in Germania, dopo la morte di Federico III di Sassonia il Saggio (1525), dalla soppressione della cappella di corte ernestina, che nell'ultimo cinquantennio aveva avuto una splendida fioritura a Jena e in tutto il territorio di Torgau. Johann Walter, che ne fu l'ultimo maestro, ottenne nel 1528 l'incarico da parte della città di ricostituirla come civica scuola di musica; e questa istituzione fu il modello di analoghi cori ginnasiali nell'intero territorio protestante. Centri di formazione musicale e di aggregazione per i cori destinati al servizio religioso diventarono quindi le scuole pubbliche, in particolare i ginnasi; gli ordinamenti ecclesiastici e scolastici della nuova confessione ne favorirono presto l'istituzione, soprattutto nei centri minori. Fu d'importanza determinante per questo rapido awio l'intervento personale di Lutero. La Magna charta della nuova pedagogia fu infatti una serie di lettere, esortazioni e inviti che egli indirizzò ai consiglieri preposti al governo delle città affinché aprissero scuole nelle quali agli studi generali si accompagnassero lo studio della musica e la pratica del canto. L'importanza che rivestiva la musica nell'ordinamento scolastico generale risulta chiaro, fra altri documenti del tempo, dal progetto didattico elaborato da Chr. Th. Walliser e adottato dal 1598 dal ginnasio protestante di Strasburgo. Ognuna delle 10 classi doveva svolgere di norma 5 ore settimanali di musica, e a nessun discepolo era consentito di trascurare gli exercitia musica. I quali iniziavano con il canto ad orecchio di corali ed esercizi per l'intonazione degli intervalli (nella decima e nella nona classe) e pervenivano (nella seconda e nella prima classe) all'esecuzione, anche a prima vista, di composizioni polifoniche. All'importanza della musica nei ginnasi protestanti corrispondeva un posto di prestigio per l'insegnante. L'istruzione musicale era affidata al Kantor al quale, sotto il profilo amministrativo, era riconosciuto un grado inferiore solamente a quello che competeva al rettore o al conrettore. Al prestigio di docente del Kantor contribuiva anche il fatto che per lo più, oltre alla musica e al canto, egli insegnava anche un'altra disciplina, spesso più di una. Perfino J. S. Bach dovette sottostare, sia pure malvolentieri, a questa consuetudine, e a Lipsia nella Scuola di San Tommaso egli avrebbe dovuto insegnare anche il latino (ma vi rinunciò, pagando di tasca propria un collega). Era stato proprio Lutero, d'altronde, in apparente contrasto con una delle premesse su cui aveva basato la sua riforma liturgica (rendere comprensibile a tutti l'ufficio sacro impiegando la lingua del popolo) a consigliare lo studio e il canto di mottetti latini con la giustificazione che " il latino forma persone raffinate ".
L'istruzione ginnasiale della musica favorì anche la formazione di un'appropriata letteratura musicale. Il canto didattico evangelico-umanista, infatti, si sforzò di educare musicalmente fin da piccoli i ragazzi attraverso una letteratura pratica appositamente creata. La produzione vocale protestante è ricca di raccolte didattiche: Bicinia sacra, Tricinia sacra, Melodiae scholastiche, ecc. E' evidente che, in questo contesto, risulta arduo per non dire impossibile, distinguere il momento dell'istruzione professionale dalla fase dell'educazione musicale rivolta a tutti i giovani. Lo svolgimento della musica disciplina nelle università del Rinascimento (a quelle fondate nel Medioevo, e tuttora fiorenti, dopo il 1450 altre se ne aggiunsero a Lovanio, Basilea, Wittenberg, Uppsala e in centri minori) non si scostò dai moduli insegnativi consacrati, e pertanto continuò a privilegiarsi il momento speculativo, secondo i procedimenti della logica aristotelica assunti e riproposti dalla Scolastica. L'insegnamento della musica nelle università rinascimentali venne però a poco a poco caratterizzandosi per un graduale affrancarsi dai procedimenti matematici e un awicinamento alla conoscenza dei processi della fisica, e per l'influsso crescente della concezione umanistica, con la conseguente riscoperta, lettura e studio di testi latini e greci. Ma, data la struttura rigida dell'insegnamento universitario, i procedimenti della Scolastica continuarono per diverso tempo ad influenzare l'esercizio del pensiero teorico della musica. Il culmine di questo processo si registra nel periodo tardo-gotico, e nei diffusi e intricati trattati di Jacobus Faber Stapulensis si possono riconoscere le opere più emblematiche di tale concezione. Il nominalismo, che del pensiero della Scolastica fu uno dei momenti più discussi ma centrali, diede un frutto, sia pure tardivo, nel Terminorum musicae diffinitorium di Johannes Tinctoris (Napoli 1474), dal quale traspare il convincimento che la conoscenza e l'uso del termine appropriato favoriscano la conoscenza e l'uso delle cose da esso significate.
La liberazione dall'insegnamento di impronta tradizionale-autoritaria e l'affermazione dello spirito critico con il riconoscimento del valore della pratica sperimentale cominciarono ad affermarsi negli ultimi decenni del secolo XV. Ne seguirono furibonde polemiche, non inferiori per virulenza a quelle che avevano coinvolto pochi decenni prima, su questioni di filologia e di critica storica, gli umanisti Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo e altri. Gli attacchi a Guido d'Arezzo e le difese appassionate di lui, il vacillare del principio d'autorità che sanciva l'intoccabilità di Pitagora e di Boezio, con il collocarsi, principalmente da parte di teorici italiani, ognuno contro tutti, erano soprattutto il segno di una liberazione dai procedimenti apodittici. Il senso dei tempi nuovi portò nei decenni successivi a sostituire la matematica con la fisica-acustica, a leggere direttamente, per quanto potessero valere e servire, i testi classici, a tener conto della realtà del suono e delle sue implicazioni.
Il Dodekakordon di Glareano (1547) e le Istitutioni harmoniche di Zarlino (1558) furono il coronamento di un discorso, sugli strumenti del pensiero e sul metodo, iniziato con le aspre critiche al sistema esacordale mosse nel 1482 da Ramos di Pareja e che si era scandito attraverso numerose fondamentali opere, tra le quali basterà ricordare la Theorica e la Practica musicae di Gaffurio (1492 e 1496) e il Musicae active Micrologus di Andreas Ornitoparchus (1517). Che i tempi fossero ormai maturi per mutamenti di rotta e che anche la trattatistica musicale dovesse aprirsi a più colloquiali, accessibili modi di divulgazione, lo awertirono parecchi scrittori i quali, abbandonato il latino scelsero di sviluppare i discorsi sulla musica nell'idioma volgare o nazionale. Il fenomeno riguardò sia gli italiani sia i francesi, i tedeschi, gli inglesi e gli spagnoli, e fu una scelta senza ritorno. Fu specialmente nelle trattatistiche più specifiche che si sostanziò il desiderio di concretezze che spirava sulla didattica rinascimentale. Svolta pressoché sempre nelle lingue moderne, essa riguardava temi e argomenti attinenti la pratica: le modalità d'impiego delle intavolature; come realizzare con la voce o sugli strumenti le diminuzioni, i passaggi, i glosas; come eseguire sugli strumenti composizioni di originaria destinazione vocale; ecc.
Nelle vicende della pedagogia della musica durante il periodo post-rinascimentale il fatto di maggiore rilevanza è costituito dalla nascita e dallo sviluppo di istituti di istruzione musicale di un tipo totalmente nuovo, autonomi nei confronti delle cappelle musicali e delle istituzioni similari fiorite nei secoli precedenti e ancora attive, ma avviate a progressivo declino. La richiesta di musica a partire dal secolo XVII si andava orientando sempre più verso usi profani, segnatamente il teatro in musica e il concerto. Le necessità operative, stimolate dai nuovi orientamenti e da generi musicali che ad essi rispondevano, influenzarono anche le cappelle musicali della tradizione ecclesiastica, le quali incominciarono ad accogliere esecutori (cantori e strumentisti) non più formati nel loro ambito ma usciti dalle nuove " scuole di musica ". Le più tipiche e singolari fra queste scuole sorsero in Italia e furono i Conservatori di Napoli e Palermo e gli Ospedali veneziani.
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